SEAMUS HEANEY

Qualcosa che accade: L’epica del quotidiano. Intorno a Station Island

Giovedì 16 novembre 2023 ore 18.30
a cura del Centro Culturale di Milano
con la partecipazione di studenti e docenti dell’Istituto “don Gnocchi”

Nel decennale della scomparsa, il “Centro Culturale di Milano” propone una serie di incontri per ricordare, riscoprire e rileggere il grande poeta irlandese Seamus Heany, premio Nobel per la Letteratura nel 1995. Ha così origine il progetto Le pietre parlano. Heaney e l’Italia, in collaborazione con la Biblioteca Bertoliana di Vicenza, la Fondazione “Pordenonelegge” e l’Università di Catania, per dar vita a un confronto con la poetica dell’autore e il suo amore e debito per Virgilio, Dante e Pascoli.

In questo ambito è nato anche l’incontro in programma Giovedì 16 novembre, alle 18:30, presso l’Auditorium del Centro Culturale, a Milano, che vede tra i suoi organizzatori e curatori due docenti dell’Istituto, Marina Fumagalli e Andrea Siciliano, con i loro studenti: Benedetta Brunella, Riccardo Dognini, Anna Ferri, Gaia Ruina e Benedetta Serenthà.

Sotto la guida dei loro insegnanti, gli alunni hanno affrontato un lavoro di lettura e interpretazione, in particolare su Station Island, la raccolta più dantesca del poeta, a partire dal quale si confronteranno sul rapporto tra poesia e mondo con il poeta e scrittore Giuseppe Conte, il giornalista e scrittore Riccardo Michelucci e la traduttrice di Heany Rossella Pretto

SEAMUS HEANEY

Dieci anni fa moriva a Dublino il grande poeta irlandese. Un’esperienza poetica, la sua, tra le più significative e sorprendenti. Nato nel 1939 in Irlanda del Nord, vi passa l’infanzia e la giovinezza, compiendo tutto il percorso di formazione fino alla laurea presso l’Università di Belfast. L’anno del suo esordio come poeta col libro Morte di un naturalista, il 1966, è lo stesso in cui si riaccendono in Irlanda del Nord i contrasti tra protestanti e cattolici, fino agli agguati e ai primi morti, come racconta lo stesso Heaney in alcuni brani della raccolta Station Island. La pace che dura dalla guerra civile del 1922, sta per terminare e culminerà con la Bloody Sunday, la domenica insanguinata del 30 gennaio 1972, in cui un battaglione di paracadutisti inglesi, sparando sulla folla durante una manifestazione a Derry, colpirà quattordici persone a morte. I “troubles” irlandesi proseguiranno fino agli anni Novanta: nel frattempo Heaney con la famiglia si trasferisce a Dublino e poi, sempre più spesso, in America, dove insegna ad Harvard. Si spegne a Dublino nel 2013.

STATION ISLAND

La fede cattolica e l’adesione alla tradizione religiosa d’Irlanda sono attraversate e messe in discussione dal poeta, in relazione ai fatti storici della guerra civile. Molte volte i partiti politici (e terroristici) cattolici gli hanno chiesto di scendere in campo come scrittore. Alla maniera di Dante, Heaney ha preferito prendere parte per sé stesso, riesaminando anche la sua educazione e la sua storia.

Station Island è un’isola lacustre su cui sorge un monastero che ricorda la leggenda di San Patrizio, il quale, in quel luogo, avrebbe trovato le porte del Purgatorio. Il luogo è meta antica e tradizionale di pellegrinaggi molto popolari.

Nell’opera omonima Heaney decide di percorrere lo stesso tragitto, ma all’inverso. Gli avviene dunque di incontrare, dantescamente, le anime dei morti in guerra, della famiglia, degli scrittori.

Heaney ha suonato la sua nota. Ha attraversato la storia, sua e nostra, rimettendo in discussione i suoi fondamenti, tentando addirittura di decostruirli, andandosene dalla sua terra d’origine, dove però la sua poesia tornava spesso.

“Ma nella maturità i miti del mondo classico, la Commedia di Dante e i miti di altre culture si sono incontrati e mescolati e hanno prodotto una cosmologia che corrispondeva sufficientemente bene a quella originale” afferma in una riflessione in cui parla del suo rapporto col cattolicesimo d’origine: “Il cattolicesimo offriva una lettura totalmente strutturata della condizione mortale che non sono mai davvero riuscito a decostruire”.

Forse questa fedeltà, nonostante tutti i tentativi di destrutturazione, gli ha consentito di pronunciare le ultime parole dal letto di morte, rivolte in latino, con un messaggio, alla moglie: “Noli timere”, non avere paura.