Scrivere manzonianamente per capirsi bene

Rachele Cucco, 2a classico, racconta i paesaggi delle sue origini

Il Resto del Carlino – Quotidiano Nazionale -, mercoledì 5 maggio 2021

Qualche giorno fa, “Il Resto del Carlino”, storico quotidiano del Centro Italia – oggi presentato sotto la sigla QN “Quotidiano Nazionale”, che raduna più testate locali –, ha pubblicato nella pagina di Pesaro il tema scritto di una nostra studentessa della 2ª Liceo classico.

Rachele Cucco, ospite dei nonni paterni nelle Marche, dalla Fortezza Albornoz descrive la veduta di Urbino, seguendo l’esempio dell’incipit manzoniano dei Promessi Sposi.

Il testo integrale del tema

La città a forma di palazzo

Descrizione di Urbino ispirata allo stile manzoniano dell’incipit dei Promessi Sposi

Quella distesa immensa di colli nel centro Italia, tra le ultime propaggini degli Appennini, che sono oscuri e sinistri al vederli o splendenti di luce a seconda che il sole con le sue dita dorate li accarezzi o meno, parlano tra loro, si abbracciano, danzano, non si può scorgere la fine di uno e l’inizio dell’altro. Il vento porta i loro messaggi e fa vibrare i boschi che li ricoprono, e talvolta una casa, una fattoria o un rudere si scorge come un fragile spaventapasseri in quel mare di alberi e campi.
Tra i numerosi colli di quelle terre spicca uno sparuto e inseparabile gruppetto. Il nucleo di questa piccola cerchia è costituito dalla collina del Poggio che sorge più o meno al centro ed è campeggiata dal Duomo della città che ivi si arrampica, Urbino. È una cittadina rinascimentale, un ammasso di casupole di mattoni che sembra si aggrappino, per non rotolare giù per il pendio, alla chiesa con la facciata di pietra bianca, e al Palazzo Ducale, del quale svettano i torricini, due torri cilindriche e gemelle che vegliano sul paesaggio come due guardiani silenti. La cupola e il campanile della grande cattedrale sono punti fermi, con la loro umile imponenza tengono unito tutto lo scenario e il palazzo, subito accanto, si confonde con le altre abitazioni, tanto che Baldassarre Castiglione, autore rinascimentale, lo descriveva come “un palazzo in forma di città”.
A un paio di chilometri a est dal centro, su un altro colle, si scorge una piccola e fragile chiesetta, San Bernardino è il suo nome; è quasi avvolta nella boscaglia che già ingloba la città dei morti alle sue spalle, uno spettacolo tetro e magnifico.
A ovest, invece, su una spianata poco più alta della città, la fortezza Albornoz col suo parco e il suo piccolo agglomerato di case, campeggia sul paesaggio e osserva la vita tranquilla e silenziosa che si svolge per le viuzzole e i muriccioli abbarbicati su per la collina.
Ai tempi in cui Urbino era al massimo del suo splendore, un esempio di vita rinascimentale, quella cittadina, fortificata e ben difesa, era anche un ducato e aveva l’onore di ospitare il Duca Federico da Montefeltro, capitano di ventura, e la sua guarnigione di soldati.
Il duca era ricco e benvoluto dalla popolazione, col suo esercito aveva vinto molte battaglie e portato a palazzo molti bottini, perciò non faceva pagare le tasse, e aveva addirittura costruito le mura di difesa della città e mattonato le strade.
Dall’una all’altra altura, da un capo all’altro della cittadella, correvano, si inseguivano, giocavano tra loro, e lo fanno tuttora, tante piccole stradicciole, mattonate appunto, più o meno ripide, quasi mai in piano, la maggior parte erano e sono talmente strette e sepolte tra due muri che alzando lo sguardo non si può scoprire che un pezzo di cielo e qualche rado stormo di uccelli portato dal vento, sempre presente in quel territorio. Passeggiando per quelle viottole, ad ogni angolo, ad ogni svolta, s’incontrano scorci, frammenti di città nascosti e visibili solo a chi li ha già visti o a chi li sta cercando.
Ora, al nostro tempo, per quelle stradicciole il vecchio e il nuovo s’incontrano, le casupole del rinascimento coi loro mattoni piccoli e logori, ma belli, sono affiancate a case intonacate, con porte nuove e lucide. È una diversità che però non stona, i mattoni carichi di esperienza e ricordi parlano con le pareti colorate di fianco a loro e raccontano il passato, la storia del paesino che diventò ducato e del ducato che diventò città e comune.
Carlo Bo, ex Rettore dell’Università di Urbino, ha descritto questa come “la città dell’anima”.
È un luogo che parla, parla a se stesso e a chi lo visita, racconta la vita di migliaia di persone, di centinaia di anni, porta nel cuore la bellezza della natura, ma anche quella dell’uomo e di ciò che egli può creare. Gli scorci nascosti per le stradicciole sono sguardi rubati alla bellezza umana e divina che si incontra e, talvolta, come capita qui, coincide.