diario dei giorni difficili .51

Il 23 maggio dell’anno 1906 moriva ad Oslo Henrik Ibsen, grande drammaturgo e poeta norvegese. Ricordandolo in questo 23 maggio, vi propongo due frammenti di uno tra i suoi drammi più significativi, Brand, composto nel 1866.

La breve introduzione che segue è tratta dall’edizione italiana edita da Rizzoli nella collana Biblioteca dello spirito cristiano. Qui trovate espresse le ragioni che rendono queste pagine pertinenti al nostro tempo e alle nostre vite.

Brand è un prete convinto che la forza di volontà sia sufficiente a raddrizzare le troppe storture del mondo; un uomo estremista negli atteggiamenti, che tratta tutti con durezza e vuole “guarire la razza dai suoi vizi e dalle sue imperfezioni”. La sua figura rigida, nel tentativo di vivere secondo una virtù perfetta, ben si adatta a questa nostra epoca di moralisti e nuovi predicatori, rivelando una potente carica provocatoria; e la tragedia di chi ha fatto dell’autonomia una religione e una passione civile rappresenta perfettamente la crisi dell’uomo contemporaneo. Un dramma intenso, in cui alla vena di spiritualità si unisce una forte critica sociale; un testo profondo e innovativo, in cui la poesia linguistica tipica dei grandi capolavori di Ibsen spicca perfettamente intatta e forse, oggi, persino più potente.

BRAND
(fermandosi e guardando indietro)

Migliaia di persone mi seguivano e nemmeno una ebbe il coraggio di raggiungere le alture; tutti i cuori invocano tempi migliori, un grido di guerra risuona in tutti gli animi e li chiama a una lotta sublime, ma il sacrificio, il sacrificio li spaventa. La volontà si nasconde, debole e fiacca; e dal giorno che un solo individuo è morto per tutti, pare sia lecito esser deboli impunemente.
(si accascia sopra una pietra e volge intorno a sé occhiate sgomente)
Per tempo io ho conosciuto lo spavento; il terrore drizzava i miei capelli, e gridavo, e urlavo come tutti i bambini, quando dovevo entrare nel mio scuro carcere infantile, nella stanza dei fantasmi. Ma io dominavo questo timore e il mio cuore si calmava all’idea che la luce regnava al di fuori, che queste tenebre non erano né la notte né la sera e non venivano che da una imposta chiusa. E io pensavo che, non appena aperta la porta, il giorno d’estate sarebbe penetrato gaio e trionfante nell’oscura prigione, nella stanza degli spiriti. Ah! che amara delusione! Al di fuori regna la notte profonda… la notte che avvolge gli uomini, le donne e i fanciulli!
(si alza d’un balzo)
Ma vi sono dei neri fantasmi che fendono l’aria quasi a tregenda infernale; i tempi sono venuti, tempi burrascosi che richiedono azioni visibili, tempi in cui la spada deve prendere il posto del bastone e i foderi pender vuoti ai fianchi. E io vedo trionfare la viltà in tutto il suo orrore, uomini che gridano, donne che si lamentano, orecchie sorde alla preghiera e ai comandamenti. È impallidendo che essi ascoltano il frastuono della folla e credono di aver sfuggito il pericolo col rendersi impotenti.
Dov’è dunque l’arcobaleno che irradia il campo di maggio, il vessillo che ondeggia sull’antenna sventolando al suono dell’inno delle genti? A che vale questo vessillo se il drago non osa mostrare i denti? Vedo solo una nave che si arena inalberando la bandiera bianca in segno di pericolo! Ma eccoci a tempi peggiori… Visioni più fosche rischiarano la notte del futuro. Il fumo nero del carbone britannico piomba in densa nube sulla contrada di cui imbratta la fresca verzura; mista a fetidi miasmi essa striscia soffocando i più nobili germi, assorbendo i raggi luminosi del giorno e coprendo ogni cosa come già fece la pioggia di ceneri che seppellì le città maledette. La razza si è corrotta, si ode il rumore sordo delle gocce d’acqua che stillano nel labirinto di una miniera dove una schiera di pigmei faticanti, con l’anima e il dorso ricurvi, lavora senza posa per estrarre dal minerale che la tiene prigioniera, l’oro, l’oro lucente e menzognero che fa brillare i loro sguardi di nani avidi. La loro anima è senza voce, senza sorriso la loro bocca e i cuori non si commuovono alle sventure dei fratelli.
Possono così venire perfino atterrati, senza che in essi si svegli il leone che deve dominare in ogni anima! Questa gente martella, lima e conia moneta. I Messaggeri di luce se ne sono allontanati, uno dopo l’altro sino all’ultimo, ed ecco a che si è ridotta questa razza per aver dimenticato che si deve «volere» sempre, anche quando il «potere» viene meno. Ma ecco giungere tempi più tristi, e altre più fosche visioni rischiarano la notte del futuro.
Il lupo della ragione si erge sulla terra abbaiando con beffe e minacce al sole del Verbo.
Un grido di allarme echeggia sino al Nord e lungo tutti i fjord ordina la lotta. Ma il nano dalla faccia madida e torva sogghigna; non è cosa che lo riguarda, dice col suo guaito, resistano pure gli altri popoli, noi non abbiamo sangue da versare, né spetta a noi lottare per il trionfo della verità. Non fu per noi che venne vuotato il calice, che la fronte dell’uomo fu straziata dalla corona di spine, non fu per noi che la lancia romana squarciò il «Suo» costato e che le «Sue» mani e i «Suoi» piedi furono trafitti dai chiodi; non fu per noi che «Egli» portò la croce. I colpi di staffile e l’insulto di Ashavero che getta il suo mantello sugli omeri del condannato, ecco quello che spetta a noi della passione.
(si accascia nella neve, velandosi la faccia. Dopo un momento alza la testa e guarda)
Ho forse sognato? È questo il mio risveglio? Intorno a me non v’è che ombra e nebbia. Quanto ho visto finora non sarebbe forse stato che un’illusione della mia mente inferma? È dunque svanita l’immagine alla cui somiglianza fu foggiata l’anima umana, e lo spirito «del male originario» è stato debellato?
(tendendo l’orecchio)
Ah! mi sembra di udire un canto.
(…)

BRAND

Fuggiamo lontano di qui!… Oh che desiderio ardente ho io di luce, di sole, e di dolcezza! La pace, una pace calma di chiesa! Quando conoscerò, io, il buon calore, l’estate della vita?
(si strugge in lacrime)
Gesù! ho invocato il tuo nome e non mi hai ancora aperto le braccia. Mi hai sfiorato e sei scomparso, come parola vana che non si arresta nella mente… Lascia che m’impadronisca del mantello di salvezza, null’altro che un lembo, un lembo soltanto e una goccia del vino della vita!

GERD
(pallidissima)

Cos’è dunque? Tu piangi? Tu? e a lacrime così calde, che io le vedo evaporare sulle tue guance come il lenzuolo della brina che si fonde e scorre dall’alto delle cime e dei picchi, così calde che perfino il mio pensiero si disgela e piange, e il mantello cade dagli omeri del prete di ghiaccio.
(rabbrividendo)
Uomo, perché non hai pianto sin qui?

BRAND
(il cui viso si è rischiarato, s’irradia e sembra ringiovanito)

Prima l’inverno della legge, ora il sole d’estate mandato dal Cielo! Se sino ad oggi non sono stato che la tavola di pietra sulla quale il Signore scrive, d’ora innanzi il poema della mia vita trascorrerà ricco e ardente. Il ghiaccio cede, io piango, le mie ginocchia si piegano e posso finalmente pregare.
(si prostra)

GERD
(guarda in alto, dice a voce bassa)

Vedi tu il mostro? È da lui che viene quest’ombra; esso è là sulla cima e sbatte le grandi ali. Ah! ecco l’ora della liberazione, purché il colpo giunga sino a lui e riceva la carica d’argento!
(mira rapidamente e fa fuoco)
(Un rombo sordo come quello del tuono echeggia dall’alto del muro di ghiaccio)

BRAND
(dando un balzo)

Ah! che hai fatto?

GERD

L’ho colpito, ed ecco che vacilla e si accascia, guardalo, eccolo che cade! Ascolta le sue grida; tutta la montagna ne risuona! E queste piume e queste migliaia di penne che volano e scendono dalla vetta! Guarda come era bianco e grande! Ah! Ecco che se ne verrà rotolando giù sin qui!

BRAND
(lasciandosi cadere)

Ogni razza manda uno dei suoi figli alla morte per espiare i peccati di tutti!

GERD

La volta del cielo è divenuta dieci volte più ampia da che l’ho abbattuto; guarda, ecco che casca con la testa in giù; ah! sono finite le mie angosce! Come è bianco! Bianco come una colomba!
(gettando un grido di terrore)
Che frastuono, che frastuono, che terribile frastuono!
(si getta bocconi sulla neve)

BRAND
(convulso e supplicante mentre la valanga si precipita giù impetuosamente)

Rispondimi, o Dio, nell’ora in cui la morte m’inghiotte: non è dunque sufficiente tutta la volontà di un uomo per conseguire una sola parte di salvezza?
(sparisce sotto la valanga fragorosa e immensa)

UNA VOCE
(dominando il fragore e gli scrosci)

Dio è carità!

Mauro Grimoldi
25 maggio 2020

diario dei giorni difficili