diario dei giorni difficili .25

In questi giorni tra una lettura e l’altra mi sono accorto di essere tornato spesso su una poesia dal titolo Disattenzione:

“Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza far domande,
senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.

Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
oppure
(e qui un paragone che mi è mancato).

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti,
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.

Su un tavolo più giovane, da una mano d’un giorno più giovane,
il pane di ieri era tagliato diversamente.

Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.

È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

Wisława Szymborska che ha pubblicato questi versi nel 2005 a ottantadue anni, dimostrando che la giovinezza non è per forza un dato esclusivamente anagrafico, mi esorta a esserci: qui e ora. Soprattutto adesso che di “uscire di casa” non se ne parla e che il “cosmo” si limita ai confini della geografia domestica, il circoscritto “qui” appare a tratti asfittico e l’“ora” senza la tensione di un’attesa, si sfibra talvolta nell’inerzia o nella rincorsa stanca verso il da farsi. Il rischio di essere “come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro” è in effetti tangibile.

Non mi resta che impugnare le parole “attenzione”, “stupore”, “partecipazione” e rivolgermi con rinnovato slancio verso le cose di oggi, che sono quelle di ieri, che saranno con tutta probabilità quelle di domani.

Mi risulta altrettanto chiaro che la tenuta di questa posizione sia fin troppo fragile e che resti comunque un senso di insoddisfazione latente. E di impotenza.

“Ma vivo intera? E questo può bastare? / Non è mai bastato, e tantomeno adesso” scrive altrove la stessa Szymborska con sconcertante onestà e non posso che essere d’accordo: non mi pare sia semplice vivere interi, soprattutto in questo periodo di smarrimento e miseria, e anche quando ciò avviene mi trovo comunque incompleto (o incompiuto).

Tra chi nella nostra epoca non si è sottratto di fronte alla vertigine di tale dramma, senza essere cinico né consolatorio, c’è l’australiano Les Murray, che di fronte alla fine di una vita che pare spegnersi irrisolta indica un’ipotesi.

La corda della miseria

Misericordia. La Corda della Miseria.
Stava scritto su un muro.
So cos’è quella corda, quant’è dura
da spezzare per quanto forte tiri.

Mio cugino era a mezzadria, e così aveva
tutto a metà: speranze, reddito, dignità,
ma lavorava a tempo pieno. Tutta la sua vita
gli ci volle per avere qualcosa di suo.

La corda della miseria certi la pizzicano per vezzo
o perché porti fortuna, secondo quello che sentono,
certi per ingannare, e certi per il suono che fa –
ma certe volte è reale.

Stalli per la mungitura, camicie di flanella,
colazione fritta, questo il nostro elemento,
e piegàti in due sul cavallo, a gridar Vai!
a un cane che schiattisce dietro una traccia fresca –

ma un’ambulanza che piomba nello stradello
è una brutta notizia per tutti:
i muri della casa della comunità
stanno perdendo un asse.

La pena è non poter far niente, tranne appenarsi,
minima ricompensa per il lavoro peggiore,
tirarsi fuori il cuore dagli occhi
a strappi della corda della miseria.

Guardavo il podere di Fred, la casa
che s’era appena fatto per la sua famiglia
e poi, la sua nuova casa,
muri d’argilla d’un marrone bluastro.

Solo un uomo ha spezzato la corda della miseria
ed è vissuto. Disse che una volta bastava.
Una poesia è un aldilà in terra:
Cristo ci dia l’altra metà.

Giovanni Nassi
20 aprile 2020

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