Saluto agli studenti
del “don Gnocchi”
Carate B., mercoledì 10 settembre 2025
Una nuova casa, un nuovo inizio
Bentornati e un sentito benvenuto a coloro che sono qui per la prima volta. Vi stavamo aspettando!
Nel solco di una storia lunga ormai quasi quarant’anni, oggi, 10 settembre 2025, ne iniziamo un nuovo capitolo insieme. Pionieri nel tempo, colmi di gratitudine per questa scuola nuova che ci accoglie, con la viva speranza che quello che qui oggi nuovamente inizia possa proiettarsi ben oltre noi.
Siamo i primi a far scuola qui, in via Tommaso Grossi, a Carate Brianza, in questo nuovo e bellissimo edificio. Esprimiamo la nostra più sincera gratitudine al Consiglio di Amministrazione, che, facendo propria la baldanza di chi ha reso possibile la fondazione del “don Gnocchi” nel lontano 1988, ci consegna questa nuova casa da abitare e custodire.
Di questi tempi, costruire una scuola, paritaria per giunta, non è affare semplice! Significa assumersi un rischio, ma sulla base della certezza di un bene riscontrato, di una storia positiva vissuta; un rischio che prende vigore dalla consapevolezza che un’opera come questa può, come ha già fatto, realmente contribuire a costruire il bene comune.
È un momento epocale quello che stiamo vivendo, e non possiamo non percepirne la sproporzione. Con timore e gratitudine, raccogliamo tutti insieme il testimone che ci viene consegnato in dono e procediamo: a diventare grandi; a diventare liberi; a imparare ad amare il mondo, l’uomo e la vita.
Prima di dare il via alle lezioni di questa mattina, sostiamo un poco, insieme, su tre punti.
1 Cultura e verità
Nel luglio di quest’anno, il Santo Padre Leone XIV, nel saluto alle suore agostiniane “Serve di Gesù e Maria”, ha posto l’attenzione sul compito di un’opera educativa: formare menti sagge e cuori capaci di ascolto e passione per l’umanità.
Questa scuola ha una missione, un mandato, uno scopo. Noi docenti non siamo chiamati a riversare informazioni nelle vostre menti, ma a far sì che queste si liberino, si aprano.
Questo non può avvenire a comando, indipendentemente da tutto e tutti. Quale compito avete, dunque, voi studenti? Di esserci, di vivere la scuola con animo pronto, disponibile e aperto. Affinché le vostre menti desiderino rimanere costantemente aggrappate a quell’attività che qui, in una scuola, in questa scuola, si fa: conoscere, o meglio, imparare a conoscere.
Se uno c’è, con tutto sé, diventa capace di appassionarsi alle cose, al mondo e, dunque, all’uomo. Può imparare a far crescere il suo desiderio e dargli la forma di una passione alla sua persona, alla sua umanità.
A scuola ci si appassiona alla realtà, s’impara a conoscerla, a decifrarla, anche a metterci mano per darle forma. Ma anzitutto, fin dal primo giorno, si diventa cercatori di verità. S’impara a conoscere per diventare capaci di distinguere il vero dal falso, il bene dal male. A riconoscere, nelle cose che scrutiamo, l’intima relazione con ciò che dà loro sostanza. Il senso di ogni osservazione è un’apertura, uno stupore che apre.
La cultura è feconda, quindi utile al mondo e a me, nel momento in cui non si distacca dalla verità. La verità è la relazione con qualcosa di ultimo che fornisce un senso, cioè una direzione, una speranza di compimento a tutto il nostro lavorìo.
La verità è una relazione profonda col senso ultimo dell’esistenza stessa del mondo.
Il nostro compito e desiderio è imparare a metterci lungo questo cammino di ricerca, al contempo personale e comunitario.
2 Una speranza nel mondo
Il mondo che abitiamo è tanto misterioso, capace di fascino, sorgente di stupore fecondo, quanto complesso e alle volte pieno di contraddizioni, apparendo talvolta fosco e tetro.
Colpisce, in questo senso, la posizione del cardinal Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, emersa in un’intervista, resa pubblica nella mostra dal titolo “Profezie per la pace” al recente “Meeting per l’amicizia dei popoli”, a Rimini lo scorso agosto; mostra che, tra l’altro, ha visto impegnati diversi studenti e docenti del “don Gnocchi”.
Di fronte a un mondo dilaniato da guerre che sembrano non avere tregua e non dare tregua, che ci consegna un senso di piccolezza e impotenza, si può costruire una pace che sia della stessa portata delle guerre, cioè capace di contrastarle? Che cosa posso fare io?
È possibile una speranza di bene che mi rilanci positivamente nella storia?
Per il Cardinale, se l’obiettivo fosse la pace nel mondo, saremmo sempre un po’ frustrati: per quanto uno s’industri, non è cosa facile cambiare il corso degli eventi. Secondo Pizzaballa, la pace non è tanto un obiettivo, piuttosto un dono ricevuto da condividere.
L’origine di una speranza di bene – potremmo dire – è qualcosa che anzitutto riceviamo; un’esperienza fatta, un incontro, qualcosa che a partire da un certo punto mi costituisce, mi rende pienamente me. Un presente che mi è stato consegnato, e che desidero offrire a mia volta.
Il Cardinale richiama, di fatto, al compito sostanziale di ciascuno di noi: la costruzione, la formazione della sua persona, primo passo per cambiare la storia. E questo avviene anche, anzi principalmente a scuola, su questi banchi, immersi in un percorso di conoscenza, di ricerca della verità.
Siamo chiamati a un compito grande, coinvolti in un cammino che permette di sviluppare una cultura ancorata alla verità, che forma uomini liberi di fronte al mondo e alla vita. Questo permette di sperare in un bene che può andare ben oltre i muri di una scuola e diventare un fondamento, vero e autentico, per il mondo intero.
La costruzione di un’umanità saldamente ancorata alla verità, capace di muoversi nelle vicende del mondo, si sviluppa grazie alla formazione di un linguaggio capace di scavare nell’intimo della realtà per trarne ciò che di bello, buono, vero c’è.
Il compito che ci diamo è quello di imparare a parlare delle cose così da poterne disvelare il senso: vogliamo costruire un linguaggio che interroga il mondo nel suo intimo perché questo si riveli. Il rapporto col mondo diventa così dialogo, ascolto, piuttosto che controllo o manipolazione. Solo così il linguaggio della contraddizione non prende il sopravvento, e rimane il linguaggio della verità.
Così la mia persona diventa il primo seme di un germoglio di speranza che può realmente cambiare me e il mondo.
3 Abitare la scuola
Chiudiamo con un semplice invito che può iniziare a favorire questo linguaggio nuovo.
Normalmente, si dice che uno studente “frequenta” la scuola. “Frequentare” porta con sé il segno inevitabile dell’obbligatorietà. Uno frequenta perché deve seguire le lezioni; in questo modo, l’andare a scuola rischia di coincidere con l’assolvimento di un obbligo, imposto dalla legge o dalla famiglia o dalle circostanze.
Tutto cambia, tutto ha un sapore nuovo, se la scuola, invece, la abitiamo. “Abitare” ha a che fare con una casa, un’ambiente che uno riceve quasi in dono e, grato, custodisce; per crescere e maturare. “Abitare” ha a che fare con una famiglia, con delle persone, con le relazioni con queste persone. Dice cioè di quel tessuto che è la sostanza stessa di un’esperienza autentica di scuola: l’essere insieme, per crescere.
Così, anche il concetto di prestazione, tanto caro a chi pensa di andare a scuola per prendere buoni voti, come se tutto fosse una gara da vincere, può essere accantonato a favore di una parola più adeguata a descrivere la partecipazione all’attività in una scuola: percorso, o anche cammino.
Essere in cammino, lungo un percorso tracciato, guidato, è il cuore del lavoro che qui a scuola si fa. La meta c’è ma è anzitutto importante quello che accade lungo la via. La prova vale nel momento in cui è parte di un percorso, che prosegue e non si ferma.
“Abitare” un luogo ha a che fare con la relazione, con la scoperta della propria persona in rapporto con l’altro. Veicola il legame con una comunità, implica un’appartenenza. Abitare, cioè, non è solo un fatto fisico, ma è anche, o anzitutto, un’esperienza culturale e sociale, che contribuisce alla formazione della propria identità.
Occorre far scuola con la disponibilità, l’apertura a che una nuova mentalità penetri e che noi tutti possiamo sempre più assumere la nostra propria forma, unica e irripetibile, alla scoperta di ciò che di bello, buono e vero c’è.
Perché tutto questo possa esprimersi, occorre abitare un luogo bello, curato, custodito, funzionale. Portiamo tutti la responsabilità che la nostra casa sia accogliente, ogni giorno, perché questo è il primo passo, concreto, per vivere da protagonisti il cammino di scoperta di sé e del mondo.
Buon anno e buon lavoro a tutti!
Diego Mansi
Preside del Liceo delle Scienze Applicate
Coordinatore dei Presidi