Saluto agli studenti del “don Gnocchi”

Carate B., mercoledì 11 settembre 2024

La “lezione” di una lunga passeggiata

Oggi inizia un nuovo anno di lavoro insieme; è vero, terminano definitivamente le vacanze, e qualcuno – anche più di qualcuno – potrebbe pensarci con un pizzico di tristezza. Oggi, però, è soprattutto l’inizio di un nuovo tempo insieme, un tempo reso nuovo da quello che ci attende, dal punto in cui siamo, diverso da quello in cui eravamo un anno fa, e dal punto a cui insieme tendiamo.

Il tempo delle vacanze non è inutile, non è il tempo del “far nulla”. Certo, il rischio è in agguato e alle volte ci si è pure cascati; è facile cascarci. Ma, anzitutto, la vacanza è il tempo della libertà; è il tempo in cui la nostra libertà, la nostra capacità di scegliere, di aderire, di evitare, di buttarsi, di cogliere, di rinunciare, di attendere è messa alla prova e in cui, pienamente, si gioca. Sei tu che scegli se andare a trovare un amico, se leggere un libro, se studiare, se fare una nuotata o una passeggiata.

E dove s’impara a usare la propria libertà? Dove viene presentata un’ipotesi positiva con cui misurarsi, paragonarsi e, quindi, imparare a paragonare tutto? Dove?

Anche oggi – forse, si potrebbe dire “soprattutto” – a scuola. A lezione. Con i propri insegnanti, i propri compagni.

Il tempo della scuola è scandito dalle lezioni; certo, anche dallo studio personale, che ci auguriamo possa sempre più fiorire, ma anzitutto dal tempo delle lezioni. Lo studio personale serve a riprendere, chiarire quanto successo la volta precedente e ad accogliere quanto sta per accadere quella successiva, a lezione. Il centro del lavoro didattico, il fulcro, il nodo della vita della scuola è la lezione.

Aiutiamoci, allora, a fissare l’attenzione su cosa sia la “lezione” grazie ai pensieri, alle parole e all’espressione poetica, più capace di aderire alla verità delle cose, di Pavel Florenskij – filosofo, matematico, fisico e ingegnere russo vissuto a cavallo del XIX e del XX secolo (cent’anni fa!).

Nel 1910, giovane docente dell’Accademia Teologica di Mosca, tenne un corso sulla storia della filosofia. Al momento di darlo alle stampe volle premettere un breve scritto sulla sua concezione di lezione. E ringrazio alcuni colleghi che, in questi giorni, hanno posto proprio questo testo all’attenzione di noi insegnanti.

Ci sembra che offrire un affondo sull’attività che, volenti o nolenti, occupa le vite degli studenti per una trentina di ore alla settimana – circa 1000 all’anno; in un intero ciclo, dalla prima alla quinta, stiamo parlando di più di 5000 ore di lezione sviluppate insieme, mica poco! – sia un modo efficace per rilanciare un anno di lavoro insieme, e riscoprirne fisionomia e compito.

E sia chiaro, queste cose le diciamo anzitutto perché noi insegnanti siamo i primi ad averne bisogno, affinché il lavoro che conduciamo possa essere sempre più efficace in relazione al suo scopo.

Spesso, si tende a confondere la lezione con la lettura del libro di testo che la sostiene, cioè col contenuto, minuziosamente e necessariamente trascritto e ordinato, che lì giace da tempo e continuerà a farlo nei tempi futuri. Eppure, la lezione è più un organismo, che nasce e si sviluppa, unica, libera, secondo un funzionamento multiforme, imprecisabile a priori; ha bisogno di un luogo preciso, un tempo, delle persone, quelle e non altre, perché possa svilupparsi e operare. È un atto di creazione.

Pur attenendosi rigidamente alla direzione generale, alla corrente generale, a un generale progetto di pensiero in un corso di lezioni, la lezione non procede in linea retta […] ma, come l’essere vivente, sviluppa i propri organi, rispondendo alle esigenze che si manifestano in corso d’opera.

È come un essere vivente che sviluppa i suoi organi secondo la necessità del suo proprio sviluppo, benché non necessariamente, forzosamente o secondo uno schema preconfezionato. La lezione è viva. Prosegue Florenskij:

La lezione non è un tragitto su un tram che ti trascina avanti inesorabilmente su binari fissi e ti porta alla meta per la via più breve, ma è una passeggiata a piedi, una gita, sia pure con un punto finale ben preciso, o meglio, su un cammino che ha una direzione ben precisa, senza avere l’unica esigenza dichiarata di arrivare fin lì, e di farlo per una strada precisa. Per chi passeggia è importante camminare e non solo arrivare; chi passeggia procede tranquillo senza affrettare il passo.

Se gli interessa una pietra, un albero o una farfalla, si ferma per guardarli più da vicino, con più attenzione. A volte si guarda indietro ammirando il paesaggio oppure (capita anche questo!) ritorna sui suoi passi, ricordando di non aver osservato per bene qualcosa di istruttivo.
[…] In una parola, passeggia per respirare un po’ di aria pura e darsi alla contemplazione, e non raggiungere più in fretta possibile la fine stabilita del viaggio.

Quello che da subito sorprende, leggendo o ascoltando questa descrizione, così vivida, di una lezione è che questa “passeggiata”, in avanti e indietro, sostando, guardando, pensando e ragionandoci su il tempo che serve, è un’opera pienamente, e unicamente, comunitaria. Non si può far lezione “da soli” – o, oggi, potremmo aggiungere “davanti a un video”. Ci vuole qualcuno che, con la sua voce, il suo corpo, il suo fare contagioso, batta la strada; strada che, in passato, ha già percorso un po’, non tutta, o magari non attento a tutto, ma che sappia e dica dove andare, lo abbia chiaro e lo renda evidente; e, lungo la strada, suggerisca su cosa soffermarsi, abbia il desiderio e l’amore di camminare, sostare, mostrare e ascoltare. E ci vuole anche qualcuno che sia compagno nel seguire chi guida, qualcuno che ogni tanto è più avanti, e ti sorprende il fatto che sia arrivato a quel punto, a chiedere quella cosa, e alle volte ha bisogno, invece, di un tuo sguardo, di una mano.

E, insieme, si va. Insieme, si contempla, attenti a quello che accade, essendo tutti chiamati in prima persona a esserci, a dire la propria, a chiedere, a tentare una risposta, mettere alla prova un’ipotesi. Tutti siamo chiamati a esserci, con tutto quello che siamo, a partire dal punto in cui siamo. Non abbiate paura, dunque, se non vi sentite capaci, o se le cose vi sembrano, alle volte, fosche o inafferrabili, o vi sembra di rimanere con in pugno solo un mucchio di fallimenti, oppure perché iniziate in un posto nuovo dove non conoscete nessuno, non temete, perché la strada è veramente per tutti, è alla portata di tutti, purché naturalmente uno ci stia, insieme.

Insieme, si tende verso una meta, certa, indicata da chi guida. La meta è fondamentale, eppure non esaurisce lo scopo della passeggiata. Perché, altrimenti, avrebbe senso cercare la scorciatoia, la scappatoia, per poi, inevitabilmente, scoprire che la via apparentemente più breve non resiste al logorìo del tempo. Il senso sta anche nel percorso, nel camminare, nel prendersi del tempo per sostare qua e là. La lezione non deve tanto puntare, con precisione millimetrica, a insegnare questo o quel genere di nozioni, non è la semplice trasmissione di una “verità” della conoscenza nella sua fase “attuale”, “contemporanea”. Lo scopo non è arrivare ad affermare “oggi, la conoscenza umana ci porta qui, punto”. Dice Florenskij:

Infatti, che cos’è la “verità” scientifica? Non è forse come il vento che non posa mai? Non è come l’onda che scivola via nell’instancabile risacca? Non è un processo inarrestabile? In una parola, non è “energia viva”?

Dal di dentro del lavoro di conoscenza, nell’incontro che si fa con le discipline a scuola – e anche dopo –, presto si scopre che la verità è una rivelazione continua, un continuo precisarsi e ridefinirsi. La realtà, nel suo manifestarsi continuo si disvela nel suo significato a chi la interroga, a chi lo indaga; significato che è continuamente da ricercare, da approfondire, un’apertura a un mistero profondissimo, a un universo di cui non possiamo vedere il confine.

E allora, se la lezione non mi consente di afferrare una cosa nel suo significato più intimo, di afferrarla nel pieno della sua ultima verità, a che cosa serve? A che cosa serve andare a scuola?

La lezione è introduzione alla “creazione scientifica” – suggerisce Florenskij –, alla ricerca, è introduzione alla comprensione della realtà, alla comprensione di chi sono io in relazione col tutto, è un modo per insegnare attraverso l’evidenza, e addirittura sperimentalmente, anzitutto un metodo di lavoro.

[La lezione deve cioè] addestrare al lavoro, creare il gusto della scientificità, dare l’“innesco”, il lievito dell’attività intellettuale.

Non è tanto un principio nutritivo quanto essenzialmente fermentativo, cioè tale da portare […] l’ascoltatore a uno stato di fermento.

Quanto alla fermentazione […], essa consiste nel gusto per il concreto acquisito per contagio; consiste nella scienza di saper accogliere con venerazione il concreto, nella contemplazione amorosa del concreto.

La scuola, dunque, è la via attraverso cui questo stato di fermento, cioè la “curiosità” verso il “concreto”, verso qualunque cosa esista e per la quale valga la pena spendersi, la curiosità nei confronti della realtà trova uno spunto di accoglienza e amplificazione. S’impara ad aumentare la propria curiosità per diventare capaci di accogliere, nel suo significato, la realtà che si staglia dinanzi a noi.

L’augurio che facciamo è di poter vivere un anno pieno, che possa realmente ardere in voi studenti un animo curioso e desideroso, anche grazie all’incontro di maestri che vi conducano a superare la paura e ad allargare la ragione, per imparare a scoprire le cose del mondo e ad accoglierne il significato, forti di una promessa di senso custodita nell’essenza stessa di questa scuola.

Buon anno e buon lavoro a tutti!

Diego Mansi
Preside del Liceo delle Scienze Applicate
Coordinatore dei Presidi