“È saggio, dico io, chi gusta il vino vecchio, e così chi va a vedere volentieri le vecchie commedie”

È Plauto stesso a dirlo in una delle sue commedie, e noi siamo d’accordo. Allora come oggi, la sua comicità funziona e fa riflettere: momenti malinconici si alternano a scene esilaranti. Personaggi che all’apparenza si presentano come semplici macchiette, ma che in realtà si ritrovano già dotati di profondità umana.

Qui troviamo tutto la prolungata fortuna che avrà la commedia italiana, passando dalla commedia dell’arte ai grandi comici nostrani, per arrivare al cine-panettone dei giorni nostri.
Quel che ci interessa è la possibilità per i ragazzi di cimentarsi con la risata, quella più sana e spontanea, talora triviale; di capirne la difficoltà: è più difficile far ridere che piangere; di sperimentare la necessità di trasmetterla al pubblico con tutto sé stessi: è il come l’attore dirà la battuta e il corpo incarnerà il personaggio, a fare la differenza. Un lavoro dunque di apertura della personalità e di sviluppo del testo osservato in classe e che solo sulla scena può dirsi veramente vivo.

I giovanissimi attori sono 34, tutti, fin dal primo giorno di lavoro, entusiasti e motivati. Necessario, per metodo e come premio, dare compimento al percorso con uno spettacolo in cui ognuno di loro abbia una parte per lo meno dignitosa. E questa è stata un’altra difficoltà, questa volta a carico del regista.

Lo spettacolo è un excursus tra alcuni degli sketch che hanno reso celebre il romano italico Plauto per presentare agli spettatori la sua grandezza e la sua attualità. Ma il lavoro è soprattutto il risultato dell’esperienza emersa coi ragazzi, che hanno imparato a far proprio il testo senza tradire la voce dell’autore.

Andrea Carabelli,
regista