diario dei giorni difficili .30

Sono giorni di assordante silenzio. Il brulichio nelle città si riduce, l’uomo frenetico si arresta di fronte alla riscoperta fragilità e permette alla natura di rinascere. Così, spinta dal desiderio di non lasciar inaridire l’anima di fronte a tanta fecondità, riscopro la bellezza di far risuonare in me le parole.

Sono giorni difficili, che fanno riflettere sul limite e sul confine, sull’estremo e sull’eccesso e accrescono le nostre capacità di azione e di lettura della realtà in questo scenario surreale. Incerto e indefinito, cioè privo di confini, appare oggi il futuro.

Leggere il XVII canto dell’Inferno dantesco è stata quindi un’opportunità per interrogarmi sul ruolo che una piccola parola come “orlo” gioca nell’immensità della realtà infernale e sul legame che si instaura con la realtà singolare che ci troviamo a vivere.

“così la fiera pessima si stava
su l’
orlo che di pietra il sabbion serra.”

Dall’analisi e dal suono della parola “orlo” possiamo mutuare un interessante legame con il vocabolo latino os, oris, la bocca. Come l’orlo delimita, cioè segna un confine materiale, così la parola, per mezzo della bocca, definisce.

Al verso sopra riportato, chi per metà poggia su questo orlo di pietra è Gerione, la raffigurazione della menzogna. Stretto è il legame tra il menzognero e la parola, resa strumento di inganno e vincolo di dannazione. Viene distorta l’originale natura del linguaggio e, infatti, il mostro infernale resta per metà sospeso nel nulla: le parole sono contenitori colmati da una nuova finalità. Si nota qui una dualità, una polarità ricorrente nelle parole, nel rapporto tra esse e il menzognero e nella natura stessa dell’inganno, che giustificano la posizione assunta da Gerione, la sua incompleta aderenza all’orlo, alla realtà.

Diversa è, invece, la condizione dei violenti contro Dio, gli usurai, presentati in questo settimo cerchio. Anche loro sono vicini al baratro, ma vivono un rapporto con il linguaggio differente. Vengono presentati innanzitutto con le lacrime agli occhi: questa è la modalità che adottano per esternare il loro dolore, non parlano ma piangono. Uno solo si rivolge a Dante che, stranamente, non vediamo dialogare, ma rimanere anzi ammutolito. Pare esserci qualcosa di più che la sola incommensurabilità della dannazione, non confinabile in parole umane, non circoscrivibile con un orlo, appunto. C’è qui una bestialità animalesca che fa da sfondo all’intero passo e che giustifica la perdita del logos, della ragione e insieme della parola.

Infine c’è Dante. L’eloquenza del suo silenzio pare scandire l’intero canto. Lui non dialoga con le anime dei violenti, ma preferisce tonare da Virgilio che gli dà sicurezza. Rimane senza parole, sul baratro. Ecco la condizione dell’uomo comune che, sull’orlo dell’incertezza, rimane ammutolito, è in difficoltà ad esprimersi e chiude la bocca. L’uomo incerto non vede, un po’ come ora, punti fissi. Nel momento della paura la gravità della situazione che ci troviamo ad affrontare non pare confinabile; ci muoviamo a tentoni nell’oscurità, senza scorgere certezze, e tutto pare buio, insuperabile. Questa la ragione per cui Dante, ammutolito, cerca la sua guida, lume nell’Inferno.

Ecco la sfida che siamo chiamati ad affrontare: riaccendere quella luce che ci faccia scorgere il vero, la realtà definita dall’orlo a cui dobbiamo aderire totalmente e non con l’incompleta parzialità di Gerione. Dobbiamo riscoprire il bello che la vita, anche nella difficoltà, ci può offrire e rispondere alla vocazione ad essere uomini. Lasciamoci attraversare dalle emozioni che una parola, un suono o un nuovo silenzio suscitano in noi e aggrappiamoci al piccolo, ma vero quotidiano. Ricercare una nuova certezza non può che essere una vera sfida. Sfida è la traduzione di certamen latino, dal verbo certare, frequentativo di cernere (distinguere, separare), da cui l’aggettivo certo.

Sono senza dubbio giorni difficili, ma rappresentano un’autentica occasione per tornare a distinguere quei legami costitutivi che definiscono noi e la realtà da cui ripartire.

Anna Sofia Rebosio
25 aprile 2020

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